Notizie Radicali
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  domenica 28 agosto 2005
 Direttore: Gualtiero Vecellio
Troppo vento a Colonia

di Luigi Castaldi

I. Abbiamo ancora davanti agli occhi l’immagine del vangelo poggiato sulla bara di Karol Wojtyla, cui una leggera brezza sfogliava le pagine durante i suoi funerali, in Piazza San Pietro, pochi mesi fa. Molti autorevoli commentatori misero il meglio di sé stessi nel lavorarci l’immagine in simbolo, in segno eloquentissimo, qualcuno arrivò a dire che questo fosse “il primo miracolo di Giovanni Paolo II dopo la sua morte”, quel vento – dissero – era lo Spirito Santo. D’altronde, come attestano molti passi delle Sacre Scritture, lo Spirito Santo s’è sempre compiaciuto del materializzarsi in refoli e folate e raffiche di vento. Insomma, come dire, la cosa ci ha convinti.

Sicché, visto che oggi quei commentatori tacciono al riguardo, ci divora una curiosità: cosa può aver voluto dire lo Spirito Santo, a Colonia, a “chi ha orecchie per intendere”, con quel rabbioso strappare dal capo la papalina a Benedetto XVI, con quel frantumare in tre pezzi la croce lignea che dal 1986 ha girato il mondo con le Giornate Mondiali della Gioventù? In fondo, quella croce non è una croce qualsiasi, è un inestimabile feticcio, il sigillo della Chiesa di Roma sul bottino accumulato dall’incomparabile politica di seduzione della gioventù che è stato il pezzo forte dello scorso Pontificato; e solo chi è a digiuno d’ogni cenno di storia della moda del clero può ignorare che il candido zuccotto, appena da tre pontificati (se s’include Paolo VI che introdusse la novità), sostituisce in tutto la tiara a tre corone, cifra dei tre poteri, chiusi in uno, messi nel pugno del monarca vaticano (religioso, politico e giuridico).

Ci verrebbero in mente solo cose terribili, vista la drammatica inferenza di simbolo nel simbolo: se non annunci di catastrofi, almeno moniti severissimi. Lasciamo stare, sennò poi ci facciamo la figuraccia di quelli che vogliono fare il gioco delle tre carte senza l’accredito ufficiale della Suprema Cattedra del Sommo Treccartaro. Troppo vento a Colonia, mettiamola così. Niente Spirito Santo, solo vento. Epperò, buono a noi per qualche metaforuzza: se non riguardo a questi eventi gravidi di suggestione da Ultimi Giorni, per altri due. Certo, saranno stati di men drammatico impatto, ma qui ci sembrano buoni alla bisogna del mostrarci vibratili e, a modo nostro, simpatetici.


II. Troppo vento a Colonia, sì. Dall’album del viaggio di Benedetto XVI nella sua terra natale prenderemmo due foto: colgono il Santo Padre col volto interamente coperto dalla mozzetta della zimarra, porpora una volta e bianca l’altra, sollevataglisi in viso dal troppo vento. Lo Spirito Santo – premettavamo – non c’entra niente. Un dittico, come da Francis Bacon: miglior sintesi crediamo non possa esserci per ridare il senso del pieno fallimento della bicipite ragion politica che portava a Colonia questo Papa.

D’un lato, v’era il paragrafo più tosto dell’ambizioso programma steso da questo professore di teologia, finora rivelatosi (com’era inevitabile nell’insostenibile paragone col suo predecessore) Pontefice un po’ sprucido e imbranato, poco disposto a offrirsi come ostia alla voracità della folla. Era il paragrafo che fissa il dialogo con i cristiani che fecero la Riforma mezzo millennio fa, in aperta e ancora dolorante rottura con il papismo. Ha iniziato col portare la corda in casa dell’impiccato, allegando alla confezione dell’evento il gadget di un’indulgenza plenaria previo l’obolo di trasporto, vitto, alloggio e ninnoli di complemento (quanto ne venga nella Sacra Tasca supponiamo resterà mysterium). Di poi, ha continuato col dire che tutti ecumenicamente insieme, sì, è cosa bella, ma senza fare offesa alla Verità. Verità storica? Magari. Su quella s’è detto disposto a concedere che ci fu un grande impiccio di legnate e lividi. Contare, gemere, rinfacciarsi? A che pro? Ogni grande tradizione, come ogni grande edificio, accanto a gallerie zeppe di ritratti illustri e a sale ridondanti d’oro e rimbombanti ancora di tante parole sante, ha ripostigli e armadi imbarazzanti, stanze murate e pozzi neri dove vanno a soffocarsi gemiti di inculate e agonie di avvelenati, soffitte polverose e cantine maleodoranti dove sul marcio rovere d’una lipsanoteca poggia un’alabarda insanguinata, stalle dal puzzo mefitico, cunicoli di guarentigia, cucine dalla volta affrescata e sfondata da una canna fumaria, fonti battesimali nei quali si annegarono gli errori mezzi vivi di qualche badessa. Verità storica? Magari. Verità teologica, ecco, “senza fare offesa alla Verità teologica”. Come a dire: offriamo le palme tese, fratelli protestanti, ma sulla Grazia, sulla Confessione, sulla Parola Scritta non v’azzardate a ribadire la solita polemicuzza vecchia di cinque secoli. Calate le braghe, chinate il capo, siamo tutti fratelli in Cristo – quello che disse a Pietro “su questa pietra, ecc.” – io sono Pietro, sapete? Non c’è che dire, per chiamarlo un “passo avanti” ci vuole quella “santa facciatosta” che insieme alla “santa intransigenza” e alla “santa coercizione” è il “piano di santità” dell’Opus Dei. E’ ovvio che la grancassa mediatica debba battere sul sensazionalismo, ma l’unica cosa sensazionale incassata su questo fronte da Benedetto XVI è stato il gelo delle chiese riformate, fatto salvo qualche beneducato cenno da leggere più come delusione che elogio. Sennò, se siamo in difetto di analisi, fateci la lista dei pastori protestanti pazzi di gioia per questo viaggio papale a Colonia, fateci un taglia-incolla delle loro giubilanti dichiarazioni.


III. D’altro canto, la questione ebraica. Un Papa tedesco – s’è detto – quale miglior sintesi per chiudere una questione grossa quanto l’enorme montagna di cadaveri giudei che per secoli crebbe, grazie alle persecuzioni e ai massacri ordinati da Roma, per arrivare a farsi immensa con la carneficina pianificata dal Terzo Reich tedesco? Questo viaggio non pare affatto aver chiuso la questione, semmai ha cercato di seppellire la montagna con una disinvolta e acritica pietà che serviva, anche qui come per la questione protestante, a non toccare il nodo teologico. In quanto roccaforte petrina: se Cristo è il punto di rottura con tutta la tradizione religiosa ebraica (il nodo salvifico dell’annuncio: Messia o profeta?), come esaltare il primato di Cristo senza ridurre quella tradizione a mero corpo gemmante? In quanto tedesco: siamo in ritardo di qualche decennio con la Storia, vero, Herr Ratzinger? Perfino all’ennesima scampagnata riminese di Cl si declina “giudaico-cristiano” senza ormai più nessun imbarazzo, perfino un ragazzino delle medie inferiori di Stoccarda saprebbe fare un tema in classe dignitoso sugli orrori del nazismo. Dove sarebbe il “passo avanti” fatto da Benedetto XVI? Secondo alcuni, il non aver ripetuto la formula dei “fratelli maggiori” di Karol Wojtyla. Fino a ieri, pareva la punta più avanzata del dialogo tra i due monoteismi; oggi, qualcuno la trova ambigua in radice, possibile fattore di stallo.

Sullo sviluppo che, poi, dalle viscere della Storia, porta la questione ebraica a farsi corpo vivo del Moderno e del Contemporaneo, tutto rimandato, tutto rinviato a data da stabilirsi: la richiesta di aprire gli archivi vaticani del periodo più enigmatico e controverso del papato di Pio XII non si sa come, non si sa quando e, hip hip hurrà!, non si sa se; del mettere una toppa agli attriti recentemente sfavillanti tra le diplomazie dello Stato d’Israele e dello Stato della Città del Vaticano, boh, chissà, in fondo non è accaduto nulla. Chissà per quanto potrà durare ancora l’illusione che Benedetto XVI sembra voler coltivare sul piano politico, arroccandosi sulla cattedra teologica, quella cioè di governare la politica estera della sua monarchia sul malinteso che non ci sia niente di nuovo da fare, se non amministrare (beninteso: con la salvaguardia della difesa della Tradizione, compitata catechisticamente) il noli tangere che il suo predecessore almeno riempiva di una carismatica ricchezza di emotività. Questa Tradizione, almeno, aveva un suo appeal. Ora, è nuda e, per il doppio appuntamento che recitava questa pagina dell’agenda di Ratzinger, mostra ciò che era già prima di Giovanni XXIII e di Paolo VI, ciò che il Pontificato di Giovanni Paolo II ha eluso per la sua vigorosa e carnale insofferenza (intellettuale, ma anche psicologica: tutto qui il potentissimo suo fascino) verso tutto quello che non passasse per la Fede.


IV. Due volte il vento – non poteva essere certo lo Spirito Santo – ha sollevato la mozzetta in faccia al Papa, in questo suo viaggio a Colonia. Come se non volesse vedere, come se non volesse esser visto. Una volta porpora, come d’un arrossire; e bianca l’altra, come d’un impallidire. C’è solo da discutere, se vogliamo tenere lontani dalla discussione questa fanatica turba di mocciosetti che applaude ormai qualsiasi cosa possa servire a tappare il buco dell’ansia adolescenziale, se il rossore e il pallore siano, o no, ragion sufficiente di buona circolazione.